Un Natale solidale per Aldo

In questi giorni in cui ci stiamo avvicinando al Natale e cresce il desiderio di condividerne la magia con i nostri cari, vogliamo segnalare una situazione che ci sta molto a cuore.

A fine anno, il nostro amico e ospite Aldo rischia di trovarsi in grande difficoltà. Infatti, i Servizi sociali continueranno ad aiutare Aldo, ma potranno farlo con risorse limitate.

Aldo ha alle spalle una storia di forte disagio. Il suo caso è emblematico di quanto la disoccupazione e l’emergenza Covid possano stravolgere gli equilibri familiari, minandoli alla base. 

Abbiamo chiesto ad Aldo di raccontarci la sua storia.

La disoccupazione e il Covid: dove tutto è cominciato

Attorno al nostro tavolone, con la luce del lampadario che proietta le sue ombre, Aldo incrocia le mani e inizia il suo racconto.

La voce tradisce l’imbarazzo e la difficoltà a cercare di fare ordine in tutto ciò che ha affrontato negli ultimi tempi.

Il periodo più nero della mia vita è iniziato circa un anno e mezzo fa. Dopo 6 anni come carpentiere in un’azienda della mia zona, la fabbrica per cui lavoravo è fallita.

In piena emergenza Covid, ho perso il lavoro e di lì sono iniziati tutti i problemi. disoccupazione fallimento Ho iniziato subito a cercare lavoro, ma nonostante gli sforzi, è stato tutto inutile. Il Covid, il fatto che ho superato i 40 anni: tutto ha giocato a mio sfavore.

E credo che tutto ciò giochi ancora a sfavore…

Comunque… con la perdita del lavoro, io e mia moglie non riuscivamo più a dormire: le preoccupazioni per la situazione economica hanno iniziato a logorare noi e il nostro rapporto.

Pensavamo a come fare per provvedere alla nostra bambina, a come vivere con quel poco che ci passava il Reddito di cittadinanza.

Io cercavo sempre lavoro, ma come ho detto, nessuno se la sentiva di assumere in una situazione che per tutti era difficile, di cui non si sapeva bene come sarebbe andata a finire.

E la tensione in casa aumentava, i litigi tra me e mia moglie erano continui. Infatti, io e mia moglie non riuscivamo a controllarci… eravamo disperati. Mia moglie, a un certo punto, non mi rivolgeva nemmeno più la parola.

Questa situazione ci ha divisi, la tensione era diventata insostenibile.

Alla fine, ho deciso di lasciare la mia casa, anche perché non volevo che mia figlia ci sentisse sempre litigare. Non volevo crearle ulteriori preoccupazioni.

Pensavo “In qualche modo me la caverò. Almeno il Reddito di cittadinanza resta per loro. Io qualcosa farò…”, ma in realtà ero disperato ed esasperato da tutta questa situazione.

Non sapevo dove andare. I miei amici e mia sorella avevano anche loro delle difficoltà: non potevano ospitarmi.

Per cui, qualche giorno prima di andare via di casa, ho perlustrato la zona attorno e ho visto che c’era un parco con delle casette abbandonate.

Come ho detto, ero disperato. Non sapevo a chi rivolgermi, provavo anche vergogna.

Stavo cercando un posto dove stare, che non fosse lontano dalla mia famiglia, dalla mia bambina. E questo parco, con le sue casette abbandonate, mi era sembrata l’unica soluzione.

Toccare il fondo

Mi ricordo che quando sono entrato nel parco era l’inizio dell’inverno. Pioveva a dirotto.

Inoltrandomi nel parco tra alberi e sterpi, che si erano impossessati di tutta l’area, sono caduto e mi sono rotto gli occhiali.

In quel momento, con la faccia nel fango, i vestiti inzuppati, gli occhiali rotti e le mani che tremavano per il freddo, mi sono detto: ”Aldo… questo è il fondo! Da tutto questo non ne esci più!”

disoccupazione toccare il fondo

Ma poi ho pensato alla mia bambina, che dovevo farcela per lei… Dovevo tenere duro!

Mi sono alzato, ho preso gli occhiali a terra, li ho sistemati sul naso. Con la vista annebbiata mi sono diretto verso le casette.

Erano tutte in rovina. Mancavano le finestre e le porte, le piastrelle erano rotte, i servizi igienici erano stati spaccati e, naturalmente, non c’era la luce.

Insomma, un vero disastro!

Ho scelto la casetta che mi è sembrata la meno distrutta.

La prima notte ho dormito solo con una coperta sotto di me e una coperta sopra. Sentivo il vento che soffiava tra i rami degli alberi e che sbatteva contro i muri le poche ante rimaste nelle casette. Sentivo dei rumori, dei grugniti. Ho scoperto poi che erano dei cinghiali che vivono liberi nel parco.

Per 2 giorni non ho mangiato. Non avevo un soldo in tasca.

La mia vita nel parco

Poi ho conosciuto il padrone del parco. Pensavo che mi avrebbe mandato via. Invece, ha capito il dramma che stavo vivendo.

Mi ha detto che potevo rimanere e di aggiustarmi una delle casette, di mettere le porte e chiudere le finestre con il nylon. E ha parlato di me ai ristoratori della zona: hanno iniziato a darmi del cibo, quello non consumato dai clienti.

Nel frattempo, un mio amico mi ha prestato un generatore a benzina e ho potuto attaccare la luce e anche la televisione.

Insomma, mi sono creato una mia casa!

Per lavarmi mi ero portato una bacinella. C’era anche un laghetto nel parco e pescavo dei pesci per mangiarli. Li cucinavo sulla piccola stufa a legna di seconda mano che ero riuscito a comprarmi.

Il padrone del parco era contento perché tenevo pulito: tagliavo i rovi e gli alberi. Usavo la legna per riscaldarmi.

In più, visto che il parco era utilizzato da alcune prostitute e anche per lo spaccio, mi ha chiesto di vigilare e di mandare via gli estranei. Ma già la mia presenza li disturbava.

Un giorno, al telefono, mia figlia mi ha detto “Papà, torna a casa. La mamma dice che puoi tornare, perché saperti lì, tutto solo e con questo freddo, non va bene…”

Il cuore mi si è stretto. Avevo le lacrime agli occhi, la gola serrata. Non sono riuscito a dire una parola. Pensavo: “Già… tornare… e se riprendiamo a litigare? Se riprendiamo a incolparci, a urlarci contro?” E pensavo alla mia bambina, al fatto che non volevo farle vivere tutta quella tensione, farle sentire le nostre urla…

E proprio in quei giorni, dopo 3 mesi che vivevo nel parco, è arrivata una retata della polizia che ha sgomberato tutta l’area. Mi hanno mandato via e hanno chiesto l’intervento dei servizi sociali.

Tornare a casa senza prospettive

A quel punto non ho potuto fare altro che tornare a casa, come mi aveva chiesto mia figlia.

Ma con mia moglie non era cambiato nulla. Abbiamo ripreso a litigare. Era impossibile stare insieme.

In più lei gestiva completamente il sussidio del Reddito di cittadinanza.

Ero di nuovo senza alcuna prospettiva: senza lavoro, senza soldi in tasca e avvolto dal rancore di mia moglie.

E devo ringraziare i Servizi sociali che hanno capito la situazione e se ne sono fatti carico. Mi hanno fatto conoscere Luigi e Cascina Solidale Marchesa.

Il mio oggi in Cascina Solidale Marchesa

Mi sono potuto trasferire qui, in Cascina. Mi avete accolto a braccia aperte e qui ho imparato tante cose.

Sapevo già pulire, stirare, insomma fare i lavori di casa: li ho sempre fatti anche quando stavo con mia moglie. Ma qui ho imparato a gestirmi. Ho anche imparato ad accudire gli animali.

E sento Cascina solidale come se fosse la mia casa. E con gli altri ragazzi mi trovo bene, siamo come una famiglia, ci aiutiamo l’uno con l’altro.

Da uno di loro sto imparando a lavorare il legno e ho anche costruito, insieme a lui, la mia prima opera in legno, una Renna di Natale.

renna natale disoccupazione

E Aldo che ha raccontato la sua storia quasi tutto di un fiato, si alza e va a prendere la sua Renna di Natale. La tiene in mano con sicurezza. Il sorriso è stampato sul suo volto.

E noi pensiamo a un anno fa, quando l’abbiamo visto la prima volta, a pochi giorni dal Natale, con lo sguardo triste e l’aria imbarazzata.

Oggi ci sembra tanto diverso da quel giorno, ma vediamo nei suoi occhi il timore di vivere di nuovo quella vita, di ritrovarsi abbandonato nel parco.

Gli mettiamo una mano sulla spalla, per fargli capire che noi, per quanto riusciamo e ci compete, non lo abbandoniamo, che la nostra mano tesa c’è.

Ma anche noi sappiamo che la nostra azione è limitata e la preoccupazione ci assale.

Il mio incerto futuro

Immediatamente cerchiamo di analizzare la situazione e capire i passi da compiere. E allora gli chiediamo: “E ora cosa succederà, cosa ti hanno detto i Servizi sociali?”

Il sorriso si spegne. La voce si fa bassa, quasi impercettibile: I Servizi sociali potrebbero avere maggiori difficoltà ad aiutarmi. Per ora il Reddito di cittadinanza va tutto a mia moglie. E va bene così, almeno si riesce a provvedere ai bisogni della bambina.

laboratorio legno disoccupazione
Aldo nel laboratorio di Cascina Solidale Marchesa

Avevo chiesto ai Servizi di avvicinarmi a casa. Non perché qui non mi trovi bene, anzi!

Ma vorrei esser vicino a mia figlia, a mia sorella che non vedo da un anno, che non è mai potuta venire qui a trovarmi e io non sono potuto andare da lei… anche a causa del Covid…

Ma la mia situazione è difficile.

Ho più di 40 anni e trovare lavoro è quasi impossibile. Ci sto provando, anche da qui. Ma non esce nulla.

So che i Servizi sociali stanno cercando una ricollocazione, una soluzione per la mia situazione…

Ma la mia è una situazione difficile. Vorrei avere un’altra opportunità dalla vita…

E un groppo in gola gli impedisce di proseguire, gli occhi si sono fatti lucidi.

Il nostro appello: una Renna di Natale carica di Serenità per Aldo

Di nuovo gli cingiamo le spalle con un abbraccio.

E, oggi, non possiamo che rivolgere un accorato appello a te che ci segui, che hai conosciuto la storia di un papà che, travolto dalla disoccupazione e dalla separazione, sta cercando un’opportunità per riprendere in mano la sua vita.

Se hai la possibilità di aiutare Aldo, contattaciInsieme vedremo di trovare un percorso che permetta ad Aldo di tornare a sorridere e sperare.

Sarebbe bello che la sua Renna di Natale gli portasse un carico di Serenità e di nuove Opportunità!

Grazie per il tuo aiuto!

PS: Se vuoi sostenere le nostre iniziative, visita la nostra pagina Come aiutarci.

 

 

 

 

 

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