Lo sguardo oltre la cima degli alberi

Marco è arrivato in Cascina Solidale Marchesa da poco più di un mese.
Marco è giovane, 29 anni di età e il sorriso sulle labbra sempre pronto ad accoglierti.

Marco si trova bene con i nostri animali, e a volte lo sorprendi nel pollaio ad accarezzare un’anatra o a raccogliere le uova spostando delicatamente una gallina.

Marco sa stare con gli altri. Sorride spesso.
Ma poi all’improvviso il suo sorriso si spegne e il suo sguardo si ferma sugli alberi che circondano la nostra Cascina.tossicodipendenza sostanze

E se gli chiedi cosa sta succedendo, il perché di quel cambio repentino nell’espressione, lui ti guarda, di nuovo accompagnato da quel sorriso che tanto gli appartiene, e semplicemente: “Niente… stavo riflettendo… assaporavo tutto questo… tutta questa tranquillità.”

E tu sai che c’è dell’altro, che c’è qualcosa che gli fa alzare lo sguardo verso il bosco, e restarne incollato.

Insistiamo a volte, per capire se c’è qualcosa che possiamo fare per lui e gli diciamo che parlare di sé aiuta ad affrontare i propri demoni.
E proprio in uno di questi momenti, Marco ci sussurra: ”Penso che abbiate ragione, raccontarsi fa bene. L’ho imparato in Comunità … mi piacerebbe raccontare di me perché, come dite voi, fa bene…”

E ci propone di raccontarsi in un’intervista, da mettere sul nostro blog, perché penso che possa esser d’aiuto a tanti che, come me, stanno affrontando la tossicodipendenza… Oggi sento che posso farlo… che posso portare la mia esperienza.

E allora, seduti di fronte, con il calore della stufa a legna che sale lungo la schiena e si irradia in tutto il corpo, è nata questa intervista, questa lunga chiacchierata con Marco.

Nel mio passato la dipendenza da crack

tossicodipendenza sostanze causeMarco gioca con gli anelli, seduto attorno al tavolone, mentre aspetta che gli poniamo la prima domanda. Ne toglie uno, lo passa tra le dita, lo tiene tra l’indice e il pollice e lo fa ruotare.

E ci guarda dritto negli occhi, di nuovo con quel sorriso che tanto lo contraddistingue, nel suo spesso maglione di lana, a coprirlo dai primi freddi.

E noi lo guardiamo nel suo spesso maglione di lana, e pensiamo a quando l’abbiamo visto la prima volta, a quel passato che conosciamo, ma che noi non abbiamo vissuto. Certo, possiamo comprendere… ma sappiamo fino in fondo come l’abbia segnato e continui a segnarlo?

Per conoscersi, per guardare in faccia i propri demoni, bisogna partire da dove tutto è cominciato. E forse lì, nel passato, vi è la chiave per capire quello sguardo che si posa sulla cima degli alberi.

Non sempre è facile parlare di sé: significa fare i conti con noi stessi, venire a patti con le nostre debolezze e le nostre sconfitte.
Ma Marco pare determinato, posa il suo anello, quello più grande, sul tavolo di legno. Con l’indice inizia a spingerlo avanti e indietro e con voce chiara, senza tentennamenti, inizia a raccontarsi.

“La mia vita nel passato è stata burrascosa. Nel senso che, purtroppo, arrivo da 15 anni di tossicodipendenza per la sostanza per la quale sono dipendente, il crack, e ho fatto tre Comunità.

Nella prima Comunità è anche andata abbastanza bene. Si è conclusa in modo positivo perché sono arrivato ad un anno e mezzo di disintossicazione. Purtroppo, però, sono andato ad abitare in un posto dove ero in mezzo al nulla e questa cosa mi ha un po’ danneggiato, anche per l’età che avevo.

Ma, forse, in realtà le cose sono andate male per le mie scelte sbagliate. È giusto ammetterlo, perché un uomo è un uomo vero, quando sa riconoscere i suoi sbagli.

E, devo ammettere di aver fatto molti errori. Per esempio, ho avuto la brillante idea di ritornare nella mia città e, qui, sono ricaduto nell’uso del crack. E poi un susseguirsi di dormitori e di tanta strada.

Inizialmente, appena rientrato, dopo la disintossicazione, stavo bene, lavoravo, facevo l’agente immobiliare. E l’ho fatto per diversi anni, in modo un po’ spezzettato, mai continuo. 

Mi sono tolto parecchie soddisfazioni perché sono riuscito a dimostrare il mio potenziale come venditore.

Ma poi la dipendenza mi ha chiuso diverse porte, mi ha sbarrato diverse strade. La gente ha perso fiducia in me.

Infatti, una delle cose più brutte della droga è che ti fa diventare una persona che alla fine non sei. Ti fa diventare bugiardo e manipolatore. La tua giornata è organizzata per cercare soldi per procurarti la sostanza. E il brutto è che te ne accorgi sempre dopo che l’hai fatto. Il rimorso viene sempre dopo.

E per il lavoro? Beh … spero in futuro di trovare un lavoro, ma in questo momento ho più bisogno di occuparmi la giornata e di trovare delle mie certezze.

Nel senso che una persona per andare a lavorare deve stare bene. E una persona che ha una dipendenza da droga o qualsiasi altra sostanza che sia, non è in grado di lavorare, secondo me. Questo perché non ha una gestione del denaro, per esempio. E prima di arrivare ad assumersi la responsabilità di un lavoro, bisogna prima mettersi in salute… e poi viene tutto il resto.”

Mentre racconta, Marco fa delle lunghe pause per cercare le parole più adatte per aiutarci a comprendere meglio.

Gli chiediamo come sia entrato nella tossicodipendenza. Non ci capacitiamo al fatto che la droga abbia condizionato la vita di un giovane, le cui parole sembrano così assennate, così piene di responsabilità.

Dalla dipendenza al percorso in Comunità

L’anello ritorna al dito medio, Marco deglutisce e, mentre ci risponde.

Un timido aggrottamento della fronte ci segnala lo sforzo per ricordare un momento preciso.

Beh… entrare nella droga è facile. È uscirne che è difficile.

Io ho iniziato con degli amici, chiamiamoli così, che mi hanno fatto vedere il crack come un divertimento. E all’inizio l’ho assimilato e consumato come se fosse un divertimento. Non lo usavo tutti i giorni, ma solo saltuariamente, nei fine settimana, per far festa.

Il problema grosso è dopo, quando vedi che ne hai bisogno tutti i giorni. È qualcosa che devi assumere, altrimenti non riesci ad affrontare la giornata. Il consumo diventa cronico.

come uscire da tossicodipendenzaE, purtroppo, poi, ho avuto a che fare con persone con storie molto dure alle spalle, con persone la cui famiglia ha voltato loro le spalle.
Oppure con gente a cui non fregava più di niente e di nessuno.

Ed è un po’ quello che stava succedendo a me nell’ultimo anno, prima di entrare in Comunità.

E devo dire che l’ultimo anno per me è stato disastroso. Ho arricchito il mio bagaglio criminale, diciamo così. Ho avuto qualche problema con la Legge, per piccoli reati.

E poi sono arrivate altre brutte notizie, a catena. Ma questo sempre per colpa mia e della mia dipendenza.

E poi sono entrato in Comunità. Il primo mese e mezzo è stato molto difficile.
Avevo un craving altissimo. Il craving è un termine usato in Comunità per dire che hai un desiderio forte e incontrollabile di drogarti.

Ero molto stressato, molto nervoso.

Facevo fatica a riprendere il mio carattere, la mia dimensione. Nel primo mese e mezzo non avevo una motivazione alta a disintossicarmi. 

Stavo quasi per abbandonare, poi una compagna di percorso, una ragazza anche lei in Comunità, mi ha consigliato di non farlo perché non mi avrebbe portato a niente di buono. E meno male che l’ho ascoltata.

E anche gli operatori mi hanno sostenuto: la mia operatrice di riferimento è stata tenace, non mi ha mai mollato, anche quando sembrava che non ci fosse più nulla da fare.

E alla fine, sono riuscito a non abbandonare.
Questo mi ha dato qualche sicurezza in più su di me, perché mi ha dimostrato che ho anche io delle capacità.

E mi ha anche dimostrato che se voglio cercare di uscire da una brutta situazione, lo devo volere io per primo, perché altrimenti diventa più difficile di quello che già non è.

E cercare di reagire è importante.”

E Marco fa seguire le sue ultime parole da un sorriso.

Certo, reagire è fondamentale. L’abbiamo visto tante volte.
Abbiamo visto diverse persone toccare il fondo, per la separazione dalla famiglia, per la perdita della casa o del lavoro, ed essere assalite dalla depressione e dallo sconforto.

tossicodipendenza aiutoE abbiamo visto quanto sia importante l’appoggio della famiglia o degli amici o di una mano che accompagna per dare quella scossa, quella forza che serve a ripartire.

E allora ci viene spontaneo chiedere a Marco della sua famiglia, di quanto lui possa contare su suoi familiari e come vivono il percorso che ha intrapreso.

La mia famiglia, in questo momento, non è unita.

I miei sono separati da diversi anni e da poco vi è stato il divorzio ufficiale.

All’inizio, mio padre non voleva che venissi qua, in Cascina.

Diceva che avevo delle libertà che in Comunità non avevo, a partire dal telefono o dal fatto che se io voglio uscire, posso uscire cioè non ho un obbligo a stare qua.

Quindi, ha detto: “Va a finire che ne abusi e fai qualche stupidaggine!”

Ma poi è venuto a trovarmi e si è ricreduto.

Anche perché ha visto che io, in questo momento, mi sto impegnando molto e sto gestendo bene la situazione.

So che se facessi stupidaggini, significherebbe andare a rovinare quel qualcosa che sto cercando con fatica e con dolore di ricostruire. E fatica e dolore mi stanno accompagnando in questo processo di ricostruzione: e credo che sia normale.

Mi ricordo che un giorno, un’operatrice della precedente Comunità mi disse “La vita vera è quella dei sacrifici, del piangere per il dolore, del piangere per la gioia. Nella vita non ti regala niente nessuno.”

Invece, la vita che ho vissuto nel passato, la definisco una vita virtuale perché quando diventi tossicodipendente è come se avessi due vite parallele che camminano insieme.

Nella vita normale ci sono le tristezze, ci sono le delusioni. Momenti ed emozioni che io non ho mai saputo gestire bene perché, purtroppo, ho una capacità di gestione delle emozioni molto bassa.

Questo anche perché mi sono sempre ascoltato poco e ho sempre ascoltato di più le altre persone, invece che ascoltare me stesso. Ed è anche questo, forse, che mi ha danneggiato.

Avrei dovuto cercare di conoscermi meglio, capire che cosa ho dentro di me, cosa passa dentro di me, cosa mi tramettono le mie emozioni. Insomma, avrei dovuto gestire in maniera funzionale le mie emozioni. Invece, il mio gestire le emozioni era andarmi a rifugiare nella droga e questo accadeva per qualsiasi cosa fosse successa… bella o brutta che fosse, per me era la stessa cosa.

Il mio passato: una pagina bianca 

Già le emozioni, il sale della vita!

Ma possono giocare un brutto scherzo, soprattutto a chi ha trovato un modo pericoloso per anestetizzarle, come l’uso del crack.

Glielo diciamo e Marco sospira.

Solleva lo sguardo verso la finestra: pare cercare di nuovo le cime degli alberi, là in fondo, oltre i nostri prati. E poi, con la voce che sembra impastata di ricordi e di emozioni, riprende a raccontare.

“Sì, avete colto il problema. Prima anestetizzavo le mie emozioni.

tossicodipendenza anestetizzare le emozioniE se dovessi dire come vedo il mio passato, direi che è una pagina bianca, una pagina sulla quale non c’è scritto nulla. Infatti, la droga cancella tutto. Ha cancellato le emozioni, ha cancellato le gioie… ha lasciato niente. Questo perché chi è tossicodipendente non vive in maniera funzionale un’emozione, che sia un dolore o una gioia.

E ancora oggi non le vivo in modo completamente funzionale. A volte mi chiudo a riccio, sono silenzioso.
Altre volte, invece, applico le nozioni che ho imparato in Comunità, per esempio che quando si ha un problema, è bene cercare di parlarne. Se c’è una cosa che ti va e vuoi dirla, di dirla, perché ti fa bene, perché è una cosa che in quel momento ti fa piacere… come oggi parlare con voi.

Però, sicuramente, rispetto a 5 mesi fa, ci sono già dei piccoli cambiamenti in positivo.

Per esempio, quando sono entrato in Comunità ero molto carico di stress, di nervosismo, quindi ero predisposto a rispondere male. Mi sentivo sempre con gli occhi puntati addosso, sempre a cercare il fatto che qualcuno ce l’avesse con me. E questi aspetti negativi sono portati dalla tossicodipendenza.

Poi, durante il percorso comunitario, mi hanno spiegato il perché vedessi le cose in questo modo, il perché mi mettessi sempre sulla difensiva. E questo mi ha aiutato.

Adesso sono meno portato a rispondere male. Reagisco in modo diverso ai comportamenti degli altri che mi indispettiscono.
Per ora sono piccoli cambiamenti, piccole cose: credo che, però, dai piccoli passi si possano ottenere grandi soddisfazioni.

In effetti in Comunità ho iniziato un lavoro su di me, ho imparato a guardarmi dentro.

Anche perché prima non era così. Io sono una persona molto estroversa e solare. Non ho problemi a coltivare relazioni sociali perché sono una persona che si predispone bene a socializzare con gli altri. Però, anche su questo aspetto caratteriale, sto imparando a non far uscire sempre questa parte.

Infatti, un difetto, che vi era in me, era di far uscire subito questa parte appena conoscevo una persona. Mi facevo conoscere subito. Invece, credo che nelle relazioni sia necessario lasciare agli altri anche la voglia di conoscerti. Infatti, se ti dico subito tutto di me, finisce il piacere di scoprire l’altra persona.”

Il mio oggi in Cascina Solidale Marchesa

Vero, Marco è estroverso ed è un piacere chiacchierare con lui.
Ma il carico che sta vivendo non gli rende sicuramente facile vivere insieme agli altri e, allora, gli chiediamo come si trova qui in Cascina Solidale Marchesa e perché ha scelto di vivere con noi.

“Ho conosciuto Cascina Marchesa tramite il mio Sert di riferimento. E mi ha spinto a venire qui il fatto che è come sentirsi in famiglia. E, poi, c’è un contesto molto tranquillo, si è in mezzo alla natura.

E tutto questo mi sta aiutando molto, come mi sta aiutando molto il fare delle attività, il prenderci cura degli animali e della pulizia della cascina.

tossicodipendenza craving cascina solidaleE noi, seguendo con lo sguardo l’anello che è tornato a muoversi sul tavolo, sentiamo entrare in noi quella serenità che si avverte quando tutte le cose sono al posto giusto.

“Se dovessi rifare questa scelta, la rifarei sicuramente.

Dico questo perché alla fine ho scelto io, perché per me i servizi sociali avevano scelto altro. Però, io ho voluto scommettere su questo posto perché ci sono tutti i requisiti per far sì che ci sia l’opportunità di costruirsi qualcosa, anche se di piccolo.

Infatti, in questo momento della mia vita sono in una fase di ricostruzione. Purtroppo, dopo tanti fallimenti e tante cadute, non è facile. E se devo dirla tutta, c’è stata, a un certo punto, la paura concreta di non riuscire più a uscire da determinati schemi in cui la droga ti fa entrare. Questo è accaduto prima che iniziassi il mio percorso comunitario, prima che venissi qua.

E poi un’altra cosa importante, che ho scoperto stando qua, è che non ho craving da crack. E questo è una cosa buona. Non ce l’ho grazie, evidentemente, al posto, perché ci sono tanti fattori che devono coincidere per far sì che non ci sia, ad esempio, la tranquillità.

tossicodipendenza comunitàE poi sono al quinto mese di disintossicazione, quindi, sta continuando il mio processo di allontanamento dalle sostanze.

E fisicamente sto molto meglio, anche di salute, e ho ripreso peso. Anzi! Adesso dovrei anche rallentare un po’ perché sto prendendo molto peso… E quindi ora mi darò una regolata nel mangiare.”

E Marco accompagna l’ultima frase toccandosi la pancia e scoppiando a ridere.

Sentire che il suo presente è più sereno, ci fa stare bene.

Il mio futuro: Carpe diem

Gli chiediamo come vede il suo futuro, come riassumerebbe in una frase i suoi progetti.

Per il presente e il futuro sceglierei la frase Carpe diem, cogli l’attimo. Ossia, cogliere tutte le opportunità che mi vengono date e cercare di intraprendere sempre strade sane, di coltivare rapporti sani.
E vorrei sfruttare tutte le opportunità che mi capitano e metterci il 110% in tutto quello che farò perché il 100% non basta mai, ci vuole un 10% in più.

E vorrei affrontare le cose con molta forza, cercare di non abbattermi mai perché chi si abbatte è perduto. E, naturalmente, cambiare radicalmente il mio percorso di vita, visto che, negli ultimi anni, è stato molto disordinato.

Credo che se una persona vuole realmente cambiare vita, può farlo. Questo è ciò che ho visto fare ad altri compagni in Comunità. E credo molto nel detto Aiutati, che il ciel ti aiuta. Perché se tu sei il primo ad aiutarti, le persone sono più predisposte a darti una mano.

Mi aspetto una vita non più nella sofferenza. Vorrei una vita più tranquilla, con una famiglia e dei figli a cui trasmettere dei valori sani, come il rispetto per se stessi e per gli altri.

E, in questo, un punto di riferimento, un esempio, è mia sorella, che ha fatto scelte nettamente diverse dalle mie. E oggi ha una famiglia, una vita normale.”

Marco si interrompe, si guarda i piedi e scosta un po’ la sedia dal tavolo, come se avesse bisogno di spazio per respirare, e con un sorriso aggiunge: ”In passato ho avuto alcune relazioni sentimentali, ma poche che hanno lasciato il segno.

In Comunità ho avuto una relazione con una ragazza, anche lei in disintossicazione. Ma è andata male. Infatti, ho rischiato di pregiudicare il mio percorso perché ho dato la precedenza a lei, ai sentimenti che provavo per lei.

Ma, giustamente come consigliano gli operatori, è meglio non legarsi sentimentalmente in Comunità a una persona che ha il tuo stesso tipo di problema. Infatti, il rischio è di ricadere in due nella tossicodipendenza.

Comunque, oggi sono single. Ed è meglio così perché, come ho detto, in questo momento ho bisogno di dedicarmi a me stesso. E, poi, quando sarò un po’ più forte, un po’ più sicuro dei miei mezzi, se succederà di conoscere la mia anima gemella, valuterò la situazione”.

Uno sguardo alle montagne: dalla tossicodipendenza si può uscire

Dalla voce di Marco traspare sicurezza e allora ci vogliamo togliere il pensiero che ha dato il via a questa lunga chiacchierata. Gli chiediamo il perché di quello sguardo che si perde sulle cime degli alberi.

tossicodipendenza uscire dalla dipendenzaSorridendo risponde: “A volte, è vero, guardo laggiù, alle cime degli alberi e, oltre, alle montagne là in fondo… e sento questa tranquillità… la paragono al mio passato, alla burrascosa vita che ho vissuto. E… mi stupisco di come oggi, qui, io inizi a sentirmi bene, più sereno…

E per questo vi ho chiesto che questa nostra intervista venga messa sul blog.

E ho portato la mia esperienza perché voglio lanciare un messaggio a chi si trova a vivere e a combattere con la tossicodipendenza.

Il messaggio che do è di essere forti, di credere in se stessi, di non farsi buttare giù da nessuno, perché siamo essere umani come tutti gli altri.

Purtroppo, siamo incappati in situazioni molto brutte, ma Dio lassù non ci ha condannato. Non siamo, come dicono molti, la feccia umana, etichettati come tossici e basta. Anche chi ha avuto un problema di tossicodipendenza, ha il diritto di avere una chance, un’altra opportunità.

E, soprattutto, voglio dire a chi crede di non farcela a uscire dalla tossicodipendenza, che si sente condannato dalla dipendenza, di affidarsi alle strutture, ai professionisti che operano in questo settore.
Io ho avuto la dimostrazione della loro efficienza e della capacità di aiutarci.

Per cui, quello che voglio dire è di aver fiducia nelle istituzioni: sono tante le strutture in Italia che si occupano di questa piaga sociale che è la dipendenza da droga.

E credo che anche il governo dovrebbe occuparsi di più di questo problema grandissimo. Infatti, ho letto una ricerca che indicava che tra i giovani, da 10 ai 18, vi è un tasso altissimo di uso di droghe sintetiche.

E, quindi, penso che occuparsene di più sia l’unica cosa da fare, anche perché, come si dice, prevenire è meglio di curare.

E credo che il lavoro che fanno le strutture comunitarie, o che fate voi qui, in Cascina Solidale Marchesa, sia straordinario. E penso che lavorare per il sociale sia un qualcosa che ti gratifica… che ti fa sentire meglio con la coscienza.

Tutti dovrebbero occuparsi maggiormente del problema dipendenza. E non fare come fanno tutti, cioè che si girano dall’altra parte, e fanno finta che il problema non sia loro. Quando, invece, il problema potrebbe presentarsi anche a loro. E potrebbero ritrovarselo in casa, per esempio in un figlio o in un fratello.”

Noi terminiamo la nostra lunga chiacchierata con Marco ringraziandolo per essersi messo a nudo, per aver accettato di rispondere alle nostre domande, anche se lo hanno spinto a rivivere un passato carico di dolore e di cadute.

Non possiamo che condividere il suo messaggio per tutti coloro che si ritrovano a combattere contro la dipendenza.

E oggi il suo sguardo che sorvola i prati, per giungere alle cime degli alberi, e andare oltre, alle montagne là in fondo, ha per noi il significato profondo della lotta contro i propri limiti, e il sapore del cambiamento e della serenità.

 

 

 

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